La normativa UE (“Nickel Directive”, ora parte dell’allegato XVII del regolamento REACH) non vieta il nichel, ma indica delle soglie per il suo rilascio a contatto con la pelle.
Se il produttore rispetta questi limiti, l’oggetto può essere venduto come “senza nichel di rilascio” o “nickel-safe”, pur contenendone un sottostrato o una percentuale.
Persone molto sensibili possono comunque reagire anche a queste micro-quantità.
In gioielleria spesso si ricorre al nichel nelle leghe di oro bianco e nei bagni galvanici che ricoprono l'argento 925 (sterling).
Il laboratorio non è solo un banchetto, è stanza delle meraviglie, ganglio di macchinari e strumenti stratificati e annidati in ogni posto.
È spazio autonomo e indipendente in cui ogni procedimento orafo trova principio e compimento, senza l'aiuto di laboratori esterni.
Essere autonoma mi permette di coltivare con coerenza e dedizione un'etica ben precisa, affinché prezioso e bello siano anche buono.

Parlare di etica in una pagina dedicata ai gioielli senza nichel non è affatto fuori luogo, in quanto non c'è etica senza tracciabilità e non può esserci tracciabilità senza un'approfondita conoscenza e padronanza dei processi di produzione, di approvvigionamento e di estrazione.
Ogni gioiello nasce interamente in laboratorio, tra la mie mani, ad eccezione di un paio di catene e chiusure in argento comune, puntualmente dichiarate nelle descrizioni.
Non utilizzo nichel.
Semplicemente non è tra gli ingredienti del laboratorio.
Il metallo prezioso che utilizzo è come appare.
C'è l'oro certificato Fairtrade 18k di colore giallo vivo e bianco naturale.
C'è l'oro certificato Fairtrade del giallo più vero di tutti, quello 22k, che richiama una ricetta usata dagli antichi orafi greci.
Infine, c'è l'argento AgAIN silver 935, che arriva da vecchie lastre radiografiche ed è più brillante dell'argento comune (925, ovvero sterling).
Il nichel non c'è, non serve.